Sangiovese Festival & Suoni di-Vini…
Concerti dedicati al sangiovese nelle belle cantine, aziende, enoteche.
I migliori vini, le stuzzicanti atmosfere musicali della
grande musica, le accoglienti cantine e i grandi solisti dell’Emilia
Romagna Festival in un turbine di suoni, immagini, odori e sapori.
La nostra idea consiste nel proporre, fra i temi dell’edizione
2003 del Festival, un importante spazio dedicato al nostro vino, ai
prodotti del territorio ed ai suoi luoghi; incoraggiati dal consenso
avuto nel primo timido esperimento avvenuto nel 2002 su questo abbinamento
tra suoni e sapori, siamo fiduciosi che tale idea possa costituire una
sinergia di grande successo e charme. L’ERF ha perciò dedicato
molta attenzione a questo abbinamento coinvolgendo molti Comuni, le
“Strade” dell’Emilia-Romagna, le Comunità Montane,
L’Altra Romagna, i produttori per portare avanti questa “festa”
di sapori, odori e suoni.
Le relazioni tra la musica e la cultura del cibo e del
bere appartengono, tra mille altre cose, alla sfera del gusto. Cioè
a un termine cui la lingua italiana attribuisce squisite ambiguità
di significato, migrando di continuo dalla fisicità, da quanto
s’attribuisce agli organi e alla percezione dei sensi, verso l’ideale,
verso la disposizione individuale, la sensibilità estetica.
È una faccenda tutta italiana, questa del rapporto
tra musica e piaceri della tavola. E non tanto e non solo per via di
certe leggende e certe figure di favola, tra le quali campeggia, uno
per tutti, Rossini: marchigiano di nascita, bolognese per studi e trascorsi
di vita, parigino per adozione, lunghissima militanza e morte –a
quanti lo definivano “Cigno di Pesaro” Rossini rispondeva
di sentirsi piuttosto, in cuor proprio, “Cignale di Lugo”,
ovvero cinghiale terrigno e formato – com’egli fu da bambino
– nella cultura insieme amabile e austera delle Romagne.
Negli ultimi vent’anni l’Italia ha preso a
conquistare il mondo (o a ri-conquistarlo, strappandone quote ai nostri
bravissimi cugini di Francia) attraverso una nuova cultura del cibo
e del vino. All’immagine del nostro paese appartiene, indissolubile,
la ‘responsabilità’ d’essere terra degli oli,
dei vini, degli orti, dei templi classici e delle città ideali
del Rinascimento, delle radici d’Europa e dei teatri, dell’opera
e del concerto. Così come tutto il mondo conosce e chiama in
lingua italiana alcune nostre specialità alimentari, tutto il
mondo usa parole italiane – in virtù di questo nostro storico
primato – per indicare un “piano” o un “forte”
o un “allegro”: quando un direttore giapponese vuole ottenere
un certo effetto dalla sua orchestra americana invoca un “diminuendo”.
Forse con un accento improbabile, ma in italiano, come si fa da secoli.
Quanto al gusto, tra le definizioni del più grande
dizionario della lingua italiana, il Battaglia, si legge di tutto e
di più: sapore, ma anche nel senso dantesco del “primo
approccio”; piacere e soddisfazione, diletto e compiacimento dello
spirito e/o dei sensi, e anche simpatia, capriccio, o invece giudizio
e conoscenza, oppure scelta e disposizione soggettiva, o ancora eleganza
e finezza per non dire del buon gusto opposto a quello cattivo, e poi
la moda, le maniere e gli stili, le abilità d’arte. Molte
altre ancora sono le definizioni del gusto: ma queste sono sufficienti
a suggerire tante contiguità tra musica e cultura del cibo e
del bere.
In comune, quindi, il “saper fare”.
E soprattutto il fare a regola d’arte: secondo codici artigiani
e antichi che presuppongono la condivisione e la conoscenza di questi
valori da parte del prossimo. E questo “saper fare”, mai
come oggi si radica nei territori, nelle specificità, nelle qualità
elettive che rendono unico e irripetibile un prodotto dell’ingegno.