Un percorso tra suoni, immagini, odori e sapori, dove la musica classica
si abbina alla cultura del cibo e del vino della
I migliori vini, le stuzzicanti atmosfere musicali della grande musica,
le accoglienti cantine e i grandi solisti dell’Emilia Romagna
Festival in un turbine di suoni e sapori.
La nostra idea consiste nel proporre, fra i temi del Festival, un importante
spazio dedicato al nostro vino, ai prodotti del territorio ed ai suoi
luoghi.
È questa un unione di grande successo e charme. L’ERF ha
perciò dedicato molta attenzione a questo abbinamento e insieme
a L’Altra Romagna ha coinvolto molti Comuni, le “Strade”
dell’Emilia-Romagna, le Comunità Montane, i produttori
per portare avanti questa “festa” di sapori, odori e suoni.
Le relazioni tra la musica e la cultura del cibo
e del bere appartengono, tra mille altre cose, alla sfera del gusto.
Cioè a un termine cui la lingua italiana attribuisce squisite
ambiguità di significato, migrando di continuo dalla fisicità,
da quanto s’attribuisce agli organi e alla percezione dei sensi,
verso l’ideale, verso la disposizione individuale, la sensibilità
estetica.
È una faccenda tutta italiana, questa del rapporto tra musica
e piaceri della tavola. E non tanto e non solo per via di certe leggende
e certe figure di favola, tra le quali campeggia, uno per tutti, Rossini:
marchigiano di nascita, bolognese per studi e trascorsi di vita, parigino
per adozione, lunghissima militanza e morte –a quanti lo definivano
“Cigno di Pesaro” Rossini rispondeva di sentirsi piuttosto,
in cuor proprio, “Cignale di Lugo”, ovvero cinghiale terrigno
e formato – com’egli fu da bambino – nella cultura
insieme amabile e austera delle Romagne.
Negli ultimi vent’anni l’Italia ha preso a conquistare il
mondo (o a ri-conquistarlo, strappandone quote ai nostri bravissimi
cugini di Francia) attraverso una nuova cultura del cibo e del vino.
All’immagine del nostro paese appartiene, indissolubile, la ‘responsabilità’
d’essere terra degli oli, dei vini, degli orti, dei templi classici
e delle città ideali del Rinascimento, delle radici d’Europa
e dei teatri, dell’opera e del concerto. Così come tutto
il mondo conosce e chiama in lingua italiana alcune nostre specialità
alimentari, tutto il mondo usa parole italiane – in virtù
di questo nostro storico primato – per indicare un “piano”
o un “forte” o un “allegro”: quando un direttore
giapponese vuole ottenere un certo effetto dalla sua orchestra americana
invoca un “diminuendo”. Forse con un accento improbabile,
ma in italiano, come si fa da secoli.
Quanto al gusto, tra le definizioni del più grande dizionario
della lingua italiana, il Battaglia, si legge di tutto e di più:
sapore, ma anche nel senso dantesco del “primo approccio”;
piacere e soddisfazione, diletto e compiacimento dello spirito e/o dei
sensi, e anche simpatia, capriccio, o invece giudizio e conoscenza,
oppure scelta e disposizione soggettiva, o ancora eleganza e finezza
per non dire del buon gusto opposto a quello cattivo, e poi la moda,
le maniere e gli stili, le abilità d’arte. Molte altre
ancora sono le definizioni del gusto: ma queste sono sufficienti a suggerire
tante contiguità tra musica e cultura del cibo e del bere.
In comune, quindi, il “saper fare”. E soprattutto il fare
a regola d’arte: secondo codici artigiani e antichi che presuppongono
la condivisione e la conoscenza di questi valori da parte del prossimo.
E questo “saper fare”, mai come oggi si radica nei territori,
nelle specificità, nelle qualità elettive che rendono
unico e irripetibile un prodotto dell’ingegno.